statuetta Makonde

Un viaggio memorabile in uno dei caposaldi dell’etnia Makonde

Alla ricerca di conchiglie corniola, materia prima per la realizzazione dei preziosi cammei, Sebastiano Borriello fa conoscenza con il popolo Makonde, famosi incisori del legno

L’arte dell’incisione del corallo e dei cammei porta i torresi in giro per il mondo alla ricerca delle materie prime, in questo scritto sono alla ricerca, in uno dei miei tanti viaggi, di lotti di conchiglie corniola. Siamo agli inizi degli anni settanta, poco prima della lotta di liberazione mozambicana, l’indipendenza dal Portogallo arriverà nel 1974. Ormai da tempo vivevo nella capitale del Mozambico, Lourenço Marques (attuale Maputo), ed avevo acquisito un’esperienza concreta nella ricerca e l’acquisto delle conchiglie.
In questo resoconto troviamo l’esotica descrizione del viaggio e dell’incontro con il popolo Makonde, maestro nell’incisione del legno da tempi antichissimi.

In uno dei viaggi al nord del Mozambico per la compera di conchiglie, a Porto Amelia (attuale Pemba) ero ospite di Cassamo Varinde, misto indiano, mio delegato alla raccolta nelle zone di pesca. Al mio arrivo, lui si accingeva ad intraprendere un viaggio a Mueda, per la vendita di un consistente quantitativo di pesce secco, in alcuni villaggi dell’interno, prevalentemente abitati dal gruppo d’etnia Makonde. Avevo sentito parlare di questa popolazione, non certo benevola con i portoghesi, dall’aspetto e dall’agire piuttosto aggressivo; nativi africani ritenuti abili intagliatori di sculture in legno, di grande pregio artistico e culturale.

Una foto di quel periodo di Sebastiano in Mozambico


Curioso come sono, amante della cultura, della glittica e di tutto quanto l’immaginazione e la creatività umana riesce a elaborare, decisi di accompagnarlo. In fondo, lo ammetto, ero anche sospinto da intento d’interesse economico. Infatti, nei miei viaggi per la compra di conchiglie, oltre a portare con me piccoli campionari o cataloghi d’articoli da vendere ai commercianti locali, ero solito girare per i mercatini rionali per acquistare sculture in ebano, avorio o altri oggetti dell’artigianato artistico indigeno, per lo più da rivendere a Lourenço Marques (l’attuale Maputo).
Fu un viaggio davvero interessante ed istruttivo. Raggiungemmo villaggi isolati lungo savane e fitte foreste d’alberi secolari; attraversammo percorsi di transito aperti tra rocce dai colori variegati, probabilmente di pietre semipreziose a cielo aperto. Vedemmo agili antilopi, zebre ed altra fauna selvaggia sfrecciare impaurite dal ruggito del leone; uccelli variopinti tra una vegetazione vigorosa. Mi stupì notare sui rami di alcuni alberi una grande quantità di pipistrelli fare la siesta, durante il giorno, penzolanti a testa in giù.
Per Cassamo il viaggio fu proficuo. Io, grazie alle sue conoscenze e prestigio acquisito nel corso degli anni, potei comprare una maschera “capacete” Makonde. Un cimelio in legno, eccezionalmente reperibile, dal possesso vietato ai profani, specialmente a noi bianchi.
Anche se la maschera di cui venivo in possesso era una copia perfetta, essa era avvolta in un drappo nero, nascosta alla vista, pur essendo in un luogo appartato. Sul volto del giovane scultore era evidente un velato timore.
Purtroppo quella maschera non è più in mio possesso. Con altri cimeli africani dovrebbe essere a Lisbona, in Portogallo, da quella mia sposa del tempo che fu.

Etnia Makonde in Mozambico

I Makonde sono un gruppo etnico originario del Mozambico, in origine vivevano sulle rive del fiume Ruvuma ma successivamente si sono spostati sul Mueda Palteau, sempre in Mozambico e nel sud della Tanzania; una piccola parte vive in Kenya.
Tra i Makonde, gli uomini hanno l’abitudine di limare i denti appuntendoli e facendoli diventare simili a quelli degli squali, tutto ciò contribuisce ad incrementare il loro aspetto aggressivo e ad alimentare la leggenda dei Makonde come guerrieri feroci. Hanno anche l’abitudine di tatuare il proprio corpo.
Furono fondamentali nella lotta di liberazione del Mozambico nei confronti del Portogallo. Combattenti feroci e agguerriti, conoscevano meglio dell’esercito portoghese le foreste del nord del Mozambico, dove si erano stabiliti da generazioni e questo li avvantaggiava nella lotta di liberazione.
Dopo la repressione del 1930 aumentò il numero dei Makonde che attraversarono il fiume Ruvuma e molti di loro andarono a lavorare nelle piantagioni di sisal in Tanzania, specialmente nelle regioni di Tanga e di Morogona; come pure nelle piantagioni di chiodi di garofano di Zanzibar e di Pemba.

La scultura e le maschere Makonde (o Maconde o Wamakonde)

La scultura ha un ruolo importante nella leggenda che racconta della nascita del popolo Makonde. Si sa che i makonde scolpiscono il legno da oltre tre secoli, ma molto probabilmente questa è un’arte che affonda le sue radici molto prima nel tempo.
I Makonde narrano che molto tempo fa, nella foresta africana abitava una creatura solitaria, un giorno vide un bell’albero ed iniziò a lavorare scolpendo una figura femminile di una bellezza incredibile. La scultura appoggiata all’albero nella notte si trasformò in una donna vera; i due si innamorarono e si recarono al fiume dove la donna partorì un bambino vivo: costui era un uomo, il primo membro del popolo Makonde.

Maschera in legno Makonde


La leggenda sull’origine del primo uomo Makonde ha interessanti analogie con la nascita di Pinocchio, il burattino creato dalla fantasia dello scrittore e giornalista fiorentino Carlo Collodi (Firenze 1826 – 1890), pseudonimo di Carlo Lorenzini.
Gli scultori Makonde scolpiscono i personaggi raccontando la loro storia e caratterizzando le espressioni e i lineamenti, ad esempio quando rappresentano il proprio popolo realizzano sculture armoniose con lineamenti raffinati, mentre quando ritraggono i propri nemici li rappresentano con lineamenti distorti e ridicoli e con l’aspetto grottesco.
Le sculture vengono anche utilizzate a scopo educativo; sono infatti intagliate scene di vita quotidiana che servono per insegnare ai giovani la vita del villaggio.
Oggi le sculture mantengono ancora elementi tradizionali della storia umana in un contesto tribale, anche se molti degli intagliatori sono inevitabilmente stati influenzati dalla domanda occidentale per i loro manufatti.
Le maschere, in legno, sono l’espressione della ricca e antica cultura Makonde.
Si ritiene che queste maschere, che trasformano un uomo in un essere sovrannaturale in grado di spaventare le donne, siano un modo per stabilire una certa parità tra uomini e donne; le donne infatti nella società Makonde hanno un ruolo essenziale e molto più potere rispetto agli uomini.
Un altro soggetto che viene raffigurato spesso è la testa di donna che rappresenta la capostipite, venerata e invocata come protettrice nei viaggi, nelle avversità, nella maternità e nella morte.
Nelle loro cerimonie religiose e di iniziazione dei giovani vengono usate colorate e a volte bizzarre maschere che rappresentano molte volte animali o persone malate.
Nella danza rituale la maschera viene indossata da un ballerino per nascondere la sua identità e impersonare lo spirito ancestrale di una persona deceduta, che si chiama Lihoka.
Queste maschere sono accuratamente ricavate da un unico blocco di legno chiaro e possono rappresentare gli spiriti Shetani, gli antenati o personaggi contemporanei (reali o idealizzati); il ballerino le indossa in modo che egli vede attraverso la bocca della maschera e la maschera di fronte diritta quando si piega in avanti.

La danza rituale e l’iniziazione

La danza Mapiko è senza dubbio un insieme di musica, danza, scultura e teatro. Rappresenta nell’immaginario collettivo il mondo soprannaturale.
Il messaggio di questa danza è che lo spirito di un morto, rappresentato dal danzatore, è tornato sulla terra per fare del male a donne e bambini e che solo gli uomini possono sconfiggerlo. Il Mapiko circondato da tabù, infondeva il terrore sacro e il resto veniva rivelato solo ai giovani maschi in ambito rituale, mai alle donne, che pure partecipavano alle danze rituali.
Il danzatore che esegue la coreografia, molto ritmica e cadenzata, oltre ad indossare le maschere caratteristiche è coperto di oggetti sonori (chocalhos, sonagli) ed è accompagnato da vari percussionisti, con i loro tamburi di legno, coperti di pelle d’animale.
Danza che ha come sottofondo un gruppo di cantanti, uomini e donne. La maschera Mapike, personificazione del maligno, era conservata in un tempietto in un luogo appartato rispetto al villaggio. Era permesso vedere la maschera sacra solo nelle cerimonie e nelle danze iniziatiche, di fertilità o di guerra.
Nella danza rituale Makonde le maschere possono coprire il viso, ”maschera facciale”, o il capo intero, “maschera capacete”, entrambi i tipi di maschera sono realizzati in legno e di solito hanno fattezze esasperate e bizzarre e vengono decorate con capelli e colori vivaci.

Durante la danza rituale viene rappresentata anche un’altra figura chiamata Mashpilo, uno spirito cattivo che diffonde malattie e desolazione e il ballerino che lo impersonifica balla su altissimi trampoli di legno legati ai piedi.
Al termine della danza, viene acceso un grande fuoco al centro del villaggio che deve bruciare per tutta la durata dell’intervento: la circoncisione dei giovani; a questo punto i ragazzi vengono portati in una zona isolata dove avviene l’operazione per mano del Mkukomela.
Dopo l’intervento, i ragazzi circoncisi vivono in questa zona all’interno di una struttura, il Likumbi, per i giorni successivi. Durante questo periodo di guarigione i ragazzi vengono istruiti su come relazionarsi all’interno della comunità, sul rispetto verso gli anziani e sul sesso.
Al termine del periodo di guarigione, il Likumbi dove hanno abitato viene bruciato nel fuoco al centro del villaggio, da quel momento i giovani ricevono un nuovo nome e diventano a tutti gli effetti uomini adulti.
L’iniziazione femminile prevede una cerimonia meno formale; un anziano introduce le ragazze in una capanna denominata Ciputu, dove vengono istruite e dove vengono insegnate loro i canti e la danza; terminata questa prima fase, le ragazze tornano alla casa delle loro madri per un periodo totale di isolamento.
Dopo tale isolamento tornano a Ciputu dove vengono istruite sui temi più importanti come i doveri della donna, il matrimonio e il sesso; una volta terminato questo periodo di istruzione, il rito di passaggio si conclude con una speciale danza che si chiama Mdimu, alla quale le ragazze partecipano dopo essere state unte con un olio e dopo aver indossato dei vestiti nuovi.
A questo punto le giovani sono pronte a sposarsi; è tempo quindi di un altro rito per propiziare la fecondità femminile che consiste nel portare sempre con sé una bambola di legno intagliato.

Sitografia

Sebastiano Borriello
Sebastiano Borriello
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