Dalle conchiglie al mattone: imprenditori torresi a Maputo

Nella capitale del Mozambico dal regime coloniale portoghese di Salazar all'indipendenza

DIARIO RIMEMBRATO
CONSIDERAZIONI SUL REGIME COLONIALE PORTOGHESE

Mi sembra opportuno fare delle considerazioni personali sul Mozambico, come residente da decenni in quel Paese africano a sud dell’Equatore, sia durante il regime coloniale portoghese che con l’avvenuta indipendenza.


UNA VITA ATTIVA OPEROSA DINAMICA IN AFRICA

Vi giunsi nel 1954, sollecitato da mio padre Domenico (Mimì) Borriello, che operava lì dal 1931, come compratore e raccoglitore di conchiglie e successivamente, finito il secondo conflitto mondiale, come commerciante, industriale e costruttore di immobili per conto proprio, sia in città, Avenida do trabalho, che in periferia, Av. Da Namacha, Villa Salazar (l’attuale Maputo).

Era una vita attiva, operosa, dinamica, con la disposizione di fare dono di tutto se stesso per lo sviluppo commerciale, industriale e immobiliare di Mozambico.

Nella prima settimana di maggio 1973, mio padre, dopo una vita dinamica, avventurosa e ricca di opere realizzate, in seguito ad un banale incidente, il 12 maggio dello stesso anno passò nel mondo dei Giusti e del riposo eterno.

Le sue spoglie mortali restano pur sempre nel mozambicano suolo che lui contribuì a valorizzare, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale.

L’annunzio della sua morte, oltre a comparire sul giornale di Lourenço Marques, fu riportato anche a Torre del Greco, suo paese nativo, sul più importante giornale “La Torre”, con il seguente necrologio: “Il 12 maggio, in Lourenço Marques (Mozambico) è deceduto il noto commerciante torrese Sig. DOMENICO BORRIELLO, stimato da tutti per la sua onestà e per le sue doti di lavoratore instancabile, proprio del lavoro è stato vittima, quando era ancora nel pieno vigore delle sue forze. Alla moglie Signora Carmela Coppola, ai figli Emilia, rag. Sebastiano (Nino), Gina, Agnese, Anna ed Enrico, ai fratelli, ai generi, alle nuore e ai parenti tutti, vada l’espressione del nostro più vivo cordoglio”.

Per inciso, a volte mi domando: essendo nostro padre deceduto due anni prima della Indipendenza del Mozambico, dopo anni di lotta armata che, lui in vita, era ancora considerata negletta, come avrebbe reagito a tale indipendenza dalla dittatura portoghese visto che era un ammiratore di Salazar?

Nel fluire del tempo, passai io a dirigere ed amministrare tutte le sue opere, con l’aiuto di mio fratello Enrico. Mio padre alcuni anni prima l’aveva obbligato a raggiungerci a Lourenço Marques, affidandogli in un primo momento il controllo della Lavanderia Estrela, quasi come un castigo per essere stato bocciato all’ultimo anno di liceo, presso il collegio dei padri Maristi a Napoli. Della cui bocciature mio fratello ne era amareggiato e deluso, ritenendola ingiusta e discriminatoria.

Continuammo, quindi, come residenti, io e mio fratello, malgrado fossimo stati defraudati dal nuovo regime comunista al potere, con la nazionalizzazione di buona parte delle proprietà di cui nostro padre era stato costruttore.

Personalmente dovetti far fronte alle nuove esigenze finanziarie, visto che, pressato dal Banco Nazional de Mozambico, dovetti coprire il consistente saldo negativo del conto corrente della ditta, garantito fino ad allora dai titoli di proprietà che nostro padre aveva dato in garanzia alla banca.

Saldato il debito, potei ritirare i titoli che mi servirono successivamente per la richiesta d’indennizzo, che sottoposi al Ministero del Tesoro in Italia, concesso per legge speciale per le proprietà degli italiani nazionalizzate all’estero.

Finché, dopo oltre trent’anni d’intenso ed estenuante diversificato lavoro, sia nel periodo coloniale portoghese, sia durante l’avvenuta indipendenza del Mozambico, costretto in buona parte dal peso degli anni, sono da tempo ritornato a vivere nella nostra Torre del Greco.

Continuano in quel paese africano a sud dell’equatore, ancora come residenti e in qualità di amministratore di quanto resta – sia delle nostre attività, sia del residuo immobiliare sfuggito alla nazionalizzazione – mio fratello Enrico, col figlio primogenito Domenico, padre di un figlio misto, mozambicano/italiano. Eredi, insieme a quattro nostre sorelle, di nostro padre Domenico (Mimì) Borriello.

Resta vivo il ricordo di nostro padre, la sua avventura coloniale, come compratore e raccoglitore di conchiglie lungo lidi ed isole dell’Oceano Indiano.

Nei primi anni, per conto della ditta “Vincenzo Coscia”, fratello della suocera Maria Luigia Coscia, coniugata Coppola. A morte avvenuta del detto Vincenzo, zio materno di Carmela Coppola, moglie di Mimì, passò come socio di fatto della nuova ragione sociale “Teresa Raiola, ved. Coscia”.

Degli miei anni di vita in Africa, intensamente vissuti e spesi col sudore della fronte e tanta energia mentale, il ricordo vivo e struggente fa vibrare il mio cuore.


ALCUNE MIE CONSIDERAZIONI DURANTE I TRENT’ANNI DI RESIDENZA

Anch’io, come mio padre, dopo qualche anno in Mozambico, ho operato dal sud al nord, lungo i lidi e le isole: Mozambico isola; Cabo Delgado, particolarmente Porta Amelia e l’isola Ibo, in periodi alterni, anche in qualità di compratore e raccoglitore di conchiglie.

Allorquando, ai principi di febbraio 1954 sbarcai a Beira, secondo porto importante del Mozambico, confesso, ebbi una sfavorevole impressione sullo scalo marittimo. Scalo importante in Africa per accedere alla Rhodesia, l’attuale Zimbabwe. Tuttavia, mi fu detto che l’immobile della stazione del Caminhos de Ferro era molto originale e moderno, come pure quello del Tribunale. Era prevista inoltre, tra l’altro, la costruzione di un grande e moderno hotel.

Effettivamente, negli anni successivi, a costruzione ultimata, per alcune sale di quel “Grande Hotel di Beira”, la “D. Borriello – Import/Export”, la nostra ditta in Lourenço Marques, fornì applique di vetro di Murano. Fu io stesso che andai a montarle.

Nel proseguimento di quel primo viaggio in Africa, sbarcai successivamente all’isola di Mozambico. Prima tappa stabilita, sia per ritirare l’attestato di residenza in quella colonia portoghese, sia, in qualità di novello ragioniere, per fiscalizzare la contabilità della società Lobo & Borriello.

Mio padre l’aveva costituita insieme al portoghese Francisco da Silva Lobo, impiegato portuale nell’isola, collezionista ed esportare di conchiglie. Con la detta società veniva sancita l’esclusiva esportazione di quel guscio calcare di mollusco marino, ottima materia prima per ricavare ed incidere Cammei di cui l’artigianato di Torre del Greco è l’artefice sovrano.

Già negli anni precedenti, prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, mio padre aveva comprato da Lobo un consistente lotto di conchiglie per conto della ditta di Torre del Greco “Teresa Raiola ved. Coscia” di cui lui era socio di fatto. Non essendo stato possibile imbarcare subito l’acquisto, ebbe la lungimiranza di far stabilire nel contratto di compravendita: “Qualora, a causa del conflitto, non fosse possibile l’esportazione, la merce sarebbe rimasta di proprietà della ditta compratrice in conto deposito nelle isole, presso lo stesso Lobo”.

Ciò permise, alla fine del conflitto, che le prime conchiglie del Mozambico, molto ambite per il loro riconosciuto pregio, arrivassero a Torre del Greco.

Fu possibile, con tale arrivo, che la ditta “Teresa Raiola ved, Coscia” potesse riprendere la sua attività nel ramo di venditrice di conchiglie, paralizzato dallo scoppio del conflitto.

Nei giorni di permanenza sull’isola, potei ammirare i luoghi e le opere di valore storico e culturale. Evidenziavano una tappa dell’epopea di un popolo di navigatori per lungo tempo in lontani mari, e la colonizzazione portoghese in Africa.

Pur sensibilizzato nel rievocare in loco pagine di storia apprese sui libri, rimasi alquanto perplesso nel notare, in parte, una certa incuria.

A parte il palazzo del Governatore, la chiesa, l’ospedale e l’hotel di un magnate portoghese, che si presentavano efficienti e con un bello aspetto, altre opere di grande valore storico, come la fortezza di S. Sebastiano, apparivano pervase di apatia e scarsamente funzionanti.

Fu all’uscita dal successivo ed ultimo scalo, Lourenço Marques (attuale Maputo) che rimasi “folgorato” dalla vista di una città moderna, dinamica e multietnica. Sembrava essere in un’Europa accogliente e non in Africa.

All’uscita dello scalo portuale, l’imponente moderno immobile del “Caminhos de Ferro di Lourenço Marques, si estendeva in un angolo di una grande piazza circolare.

Da lì proseguimmo lungo strade asfaltate a doppia corsia, in salita. Ad un certo punto brillava per stile architettonico, l’edificio “Sua Altezza Aga Khan”. Attestava la presenza in Mozambico di una vasta comunità indiana.

Quasi al limite, allora, della città di cemento, Avenida do Trabalho, 123 l’immobile di proprietà di mio padre, in fase di ristrutturazione.

Per il momento, ad un piano, con un grande appartamento accessibile a lunghi grandi balconi. Era l’abitazione in cui mio padre conviveva con la compagna Rita Nogherinha Coelho.

Nel piano terra l’accesso alla “Lavanderia Estrela” la cui licenza era di proprietà di Rita, la convivente di mio padre. Una lavanderia industriale attrezzata con macchinari e una grande caldaia a legno per il vapore, che erano sia di proprietà di mio padre sia della Ditta di Torre del Greco “Teresa Raiola ved. Coscia” (erano investimenti derivanti da parte degli incassi nella vendita delle famose conchiglie comprate da mio padre prima del secondo conflitto mondiale).

Pertanto il relativo affitto consegnato a mio padre era per un 50% spettante alla ditta a Torre del Greco. Per il vasto locale, invece, l’ulteriore affitto dovuto al proprietario dell’immobile era in esclusivo vantaggio a mio padre.

Si effettuava il lavaggio degli indumenti e della biancheria di una vasta clientela nella città, come lenzuola e fodere dei vari quartieri militari. Anche quelle dei piroscafi di varie nazionalità che scalano il porto.

Nel percorso per raggiungere la sede dell’azienda di mio padre, passando per il centro della città, si passava per una larga piazza circolare, dove si elevava il mausoleo grande di marmo con la statua equestre in alto. Più in alto è posizionato l’imponente palazzo del Governatore. Nelle adiacenze, non molto lontano, su una larga rampa di scale, spicca la grande e bella Cattedrale cattolica. Fa sfoggio tra la moderna facciata vetrata, un campanile grande in altezza sul quale si eleva una croce.

Fra le più recenti chiese cattoliche: la bella e moderna “Igreja S. Antonio da Polana”, nome che indica insieme a quello del Santo a cui è dedicata, anche quello di uno dei più importanti rioni della città, che sorge in prossimità di un promontorio in discesa verso il mare.

Lungo il suo pendio ci sono alcune ville delle Ambasciate estere.

In una di queste fu ospitata una commissione di parlamentari italiani, tra cui l’onorevole Andreotti, molti mesi dopo l’avvenuta indipendenza e la nazionalizzazione delle proprietà dei residenti stranieri. In quella villa fu invitato dal segretario della nostra ambasciata per raccogliere le doglianze di noi italiani che ci siamo visti rifiutare dal Ministero del Tesoro le nostre pratiche di richiesta d’indennizzo per l’avvenuta nazionalizzazione della maggior parte delle nostre proprietà. Richiesta d’indennizzo che, insieme agli altri connazionali, avevamo presentato entro i termini stabiliti dalla legge alla nostra ambasciata, ritenuta territorio italiano.

E dire che in precedenza eravamo all’oscuro degli indennizzi che il Governo italiano aveva elargito per le avvenute nazionalizzazioni in Mozambico. Fummo informati per caso da un amico connazionale che era ritornato in patria dopo la nazionalizzazione anche delle sue proprietà. Era ritornato non per restare ma per raccogliere rapidamente alcuni documenti necessari alla richiesta d’indennizzo.

Fu dopo questo incontro chiarificatore con Andreotti, e grazie al suo interessamento, che fu risolto il problema a nostro favore.

Ritornando alla descrizione del rione Polana e sul promontorio sul quale è posizionato, balza evidente un hotel dei più moderni, attrezzato con campo di golf, tennis ed altri giochi, chiamato, appunto, Hotel Polana. Esso dispone, con vista sul cristallino mare, di alcuni saloni per concerti.

In esse si esibirono, e si esibiscono, molti orchestranti anche italiani. Fra questi mi sono rimasti impressi i “Cinque di Roma; sia per il ritmo avvolgente delle loro esibizioni, sia per le canzoni tradizionali ma, ancor di più, per quelle più moderne. Mia cognata Colette, con mio fratello Enrico, suo marito, erano dei clienti assidui al caffè bar. Era un modo di fare conoscenze di illustri stranieri e italiani ospiti, tra questi i piloti e gli equipaggi degli aerei con scalo a Lourenço Marques.

Io e mia moglie, di tanto in tanto, andavamo di domenica a pranzo; servito all’aperto, con una grande varietà di pietanze scelte a piacere.

Per quanto riguarda gli ulteriori luoghi di culto delle altre religioni, fra le più importanti, oltre a quella protestante, la più appariscente ed estesa è la “Mesquida Juma da Baia” di Lourenço Marques.

Non manca il cimitero ebraico. In verità, quando lo visitai lo trovai in stato d’abbandono.

Fra tante opere di grande interesse, c’è il “Museo de Historia Natural”, con una vasta fauna imbalsamata ed altri oggetti esotici. Ma la cosa più strabiliante è una teca vetrata con feti d’elefanti in dodici mesi di gestazione.

Non molto lontano, in un grande parco, l’edificio del liceo dedicato allora a Salazar. Era ed è uno dei più moderni in città. Già nel 1954 la ditta di mio padre aveva montato un ascensore italiano della Falcone, con assistenza di un tecnico portoghese.

Eppure dove si svolge una quotidianità attiva, dinamica, artistica, culturale, e ricreativa è “na baxia” (giù, oltre il centro della città).

Intanto, bisogna considerare che partendo dal lato sinistro delle Cattedrale, con un percorso breve, in discesa, c’è l’accesso, dopo un piccolo campo da tennis, al giardino/orto botanico. Con siepi verdeggianti, alberi che fanno sfoggio, su nodosi rami, di verdi foglie e, su alcuni di essi, fiori dai colori brillanti, variegati; germogli di frutti esotici. Sempre in discesa nel parco, attira la nostra attenzione un grande vecchio albero che presenta grandi radici contorte legnose che si elevano dal suolo. In seguito, prossimo all’uscita “na baxia”, c’è una grande vasca rettangolare in cemento, con larghi bordi sollevati di alcuni centimetri da terra. Serve come acquario, con pesci di varia grandezza, tra cui, alcuni dei più grossi, esotici, di vari colori brillanti, inusuali, meraviglia della natura. Il tutto è un “green polmone”, un luogo di salutare riposo, dove passare seduti alcune ore, su larghi sedili di cemento, con una compagna o un amico, in serena letizia. Un luogo appartato, distante dal ritmo caotico e morboso del traffico cittadino.

Eccoci ora in un blocco di immobili, intercalati da brevi vie, con molte costruzioni posizionate lungo una strada, di grande transito, a doppia corsia, di cui una arriva all’entrata principale dello scalo portuale. Ci sono edifici che rievocano i tempi che furono, a un solo piano, costruiti con barre di ferro e legno. Vi si trovano sale vetrate con uffici, negozi d’abbigliamento, prodotti d’uso domestico, salumeria, macelleria ed una grande cartoleria, fornita anche da un vasto assortimento di libri in vendita o da consultare.

Non manca un caffè, con annesso cine-teatro, e poco distante l’imponente Palazzo delle Poste. Di fronte a questo, al di là della strada, a doppia corsia, costruzioni in cemento armato. Una a un piano con i vasti magazzini Jhon Orr, bene assortiti, tipo Upim. Di lato, al di là di una strada secondaria, immobili a cinque piani, nominatamente il “predio Cardoso” la cui costruzione lo lega al “predio Rubi”. Questo con l’entrata laterale, lungo la “Avenida D. Luis”. È al n.8, interno, dopo una piccola corsia rettangolare, saliti dei gradini, che c’è l’entrata della nostra ditta, Domenico Borriello – Import/export (negli anni successivi la trasferimmo nell’immobile di proprietà di mio padre, in Avenida do Trabalho, e successivamente con una filiale in Villa da Namacha, anch’essa ubicata nell’altro grande immobile costruito da nostro padre).

Quando entrai quella prima volta, nel 1954, oltre all’ufficio c’era un’ampia sala d’esposizione e vendita d’articoli e prodotti, per lo più Made in Italy. Tra i più appariscenti: lampadari e vetrerie di Murano.

In locali sottostanti, scompartimenti con deposito di merce e prodotti vari importati, tra questi, casse contenente grosse forme di formaggio parmigiano reggiano della ditta italiana Fanticini.

Nei piani superiori c’era, negli anni ‘50, il Consolato italiano, il cui segretario italiano era Mario Romeo, meridionale.

Dopo qualche anno dal mio arrivo, nel sostituire mio padre sia in ufficio che nella direzione dell’azienda, ritenni opportuno, su progetto di un caro giovane amico fiorentino, reduce dalla Rhodesia, estendere la vendita fuori. Davanti all’ampia vetrina preesistente, con il campionario in vendita all’interno, situata questa lungo il percorso dell’entrata dell’edificio, un lungo balcone vetrato, dietro al quale un’ulteriore impiegata passava a vendere anche tabacchi e articoli d’uso comune.

Al di là della strada, in una traversa apparentemente secondaria, visto che questa prosegue fino all’entrata principale del porto, con cabaret e sale di concerto, inizia la cosiddetta “Traversa do Varietà”. Un nome italiano d’un teatro che lì figura con tale nome. Di proprietà degli eredi di un vecchio residente italiano, Pietro Buccellato, che fece costruire l’immobile. Inaugurato il teatro nel 1912; successivamente in esso, venne rappresentata l’opera, “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini.

Nel 1926, si esibì lì il coro della Cappella Sistina.

Un attestato d’antichi forti vincoli d’amicizia e collaborazione dell’Italia col Mozambico. Consolidati nel corso dei decenni anche con l’indipendenza del Paese Africano con il riscatto, nel 1975, dal Regime coloniale portoghese.

Cooperazione che, nel 1992, si evidenzia con la mediazione della Comunità italiana di S. Egidio, che portò, dopo anni di lotta armata fratricida, alla firma a Roma d’un accordo di pace tra FRELIMO al Governo di Mozambico ed il partito d’opposizione Renamo.

Senza dimenticare l’inizio dell’evangelizzazione con l’arrivo dall’Italia nel 1925 dei comboniani, successivamente, nel 1946, dei padri dehoniani e nell’anno seguente dei frati cappuccini. Nelle loro missioni, operando nelle località isolate con laboratori d’arte e mestieri per i giovani poveri, “senza arte, ne parte”.

Così come la presenza nel 1929 di una società di imprese milanesi, chiamata “Compagnia Agricola Commercial Rio Lurio, Limitada”. Con la compra di una proprietà fondiaria ad Ocra; località situata ai margini estremi del fiume Lurio, che marcava la frontiera tra Capo Delgado e Nampula al nord del Mozambico.



Dramma in un Paese a Sud dell’Equatore

Fanciulla negra,
lacera e stanca.
Nel traffico convulso
della tua
multi etnica
città africana,
Mozambico,
scopro il tuo volto,
i tuoi tristi occhi;
rispecchiano il dramma
del tuo paese,
da lotta fratricida
conteso.

Mi guardi con timore;
ti sorrido.
Il tuo sguardo s’illumina;
ricambi il sorriso:
la speranza rinasce.
Una nuova aurora,
pur sempre,
tornerà.


L’ALBERO DELL’ INDIPENDENZA DEL MONZAMBIQUE

Qui , con le nostre mani, fu piantato
l’albero della indipendenza nazionale.
Qui fiorettano pallottole, semente necessarie,
e l’albero nacque, crebbe,
creò radici profonde e sicure;
fu la volontà del popolo e sangue degli eroi.

Qui alimentammo quest’albero
e avemmo cura che il suo tronco crescesse retto,
che i suoi rami abbracciassero tutto il popolo
nella produzione dei frutti che aneliamo –
il frutto pane, il frutto vestiario e della scienza,
il frutto che uccide la malattia e dà la vita.
Il frutto dell’allegria e della bellezza.

È un albero che cresce in ognuno di noi,
nelle mani del contadino, nelle braccia dell’operaio
nel coraggio del soldato,
nella voce del professore, nell’occhio del bambino.


INDIPENDENZA NAZIONALE DEL MOZAMBICO

(1960 – 1975)

Il 1960 si evidenziava come un periodo di grande agitazione in tutto il Continente Africano, durante il quale la mappa politica dell’Africa soffriva enormi trasformazioni.

In quest’anno i movimenti di liberazione di Angola e Guinea-Bissau si erano rivoltati contro la dominazione coloniale portoghese. Fu in questo periodo che venne fondato il “Frente de Liberaçao de Moçambique: FRELIMO”, precisamente il 25 giugno 1962.

Esso non può essere visto come un atto slegato dal sentimento antico coloniale che animava sempre più un vasto numero di mozambicani. Fu, pertanto, il culmine di un processo di progressiva acquisizione di coscienza unita ai mozambicani impegnati a liberare il Mozambico dal dominio coloniale.

Già alla fine della decade del quaranta e durante tutta la decade del cinquanta, il sentimento anti coloniale aveva incominciato ad assumere una forma di contestazione sociale e politica, nominatamente con l’organizzazione di azioni di carattere politico-culturale che, in una certa forma, servirono di inquadramento a tutta la contestazione sociale che pertanto si fece sentire un po’ per tutto lo spazio mozambicano, come illustrano le misure repressive del Governo coloniale, sia reagendo contro tutte le azioni di tipo lavorativo (scioperi, etc.) sia attraverso la sofisticazione e il rinforzo dell’apparato repressivo, del quale è esempio la creazione, nella colonia, della polizia politica, la PIDE nel 1957.

Appunto negli anni quaranta e cinquanta, in seno alle chiese cristiane, sorsero le prime voci di contestazione, esigendo l’abolizione immediata del regime, la fine delle leggi restrittive e il rispetto per i diritti dei negri. Già dagli anni venti e trenta la chiese sincretiste e i movimenti profetici, diffusero l’idea pan-africana di “Africa agli africani”.

Nell’estremo nord del Mozambico si sviluppò, in quel periodo, una interessante esperienza di cooperazione tra i Makonde – ispirata dall’idea di autonomia in un rione popolare posizionato al nord del fiume Rovuma – con la “Tanganyika African Nacional Union (TANU)”, organizzazione creata da Julius Nyerere, dirigente nazionalista africano che diventerà poi il fondatore e primo presidente del Tanganica, oggi Tanzania. Questa iniziativa mirava a fornire ai contadini i mezzi di produzione e la possibilità di commerciare liberamente, privando del monopolio le compagnie e i commercianti indiani. I Makonde sono, appunto, un’etnia diffusa nel Mozambico settentrionale e nella Tanzania sudorientale. Conosciuti come grandi guerrieri furono fondamentali nella lotta di liberazione del Mozambico.

La contestazione dell’ordine coloniale, la volontà di difendere un’identità africana, o semplicemente la difesa d’interesse proprio, furono una costante durante tutto il secolo XX, nelle varie forme: religiose, lavorative, intellettuali e politiche, sia internamente che all’esterno degli stati.

La rivolta dei contadini di Mueda, il 16 giugno 1960, e la violenza che cadde sui suoi ispiratori posero fine a questa esperienza. Tuttavia, Mueda marcò una tappa decisiva nella presa di coscienza di un vero sentimento nazionale. Samora Mascel, presidente del Mozambico, ad indipendenza ottenuta, scrisse che gli eventi di Mueda fecero emergere in lui detto sentimento e in quel momento si convinse che era di fatto oppresso e sfruttato.

Nel 1974, mentre proseguiva la lotta armata in Mozambico contro il regime portoghese, in seguito al colpo militare del 25 aprile di quell’anno contro il regime dittatoriale di Salazar, vennero create le condizioni per instaurare in Portogallo un regime democratico.

Fu possibile, così, nel agosto del 1974, che una delegazione della FRELIMO e una del Movimento delle forze armate del nuovo Governo portoghese (MFA), comandata da Mario Soares, che nel frattempo si assunse il compito del vero potere in Portogallo, intavolarono una trattativa, in Dar-es-Salam (Tanzania), in seguito alla quale si ottenne la liberazione degli ultimi prigionieri portoghesi.

Venivano finalmente create le condizioni per l’indipendenza del Mozambico.

Il 7 settembre del 1974, una delegazione ufficiale della FRELIMO, comandata dal presidente Samora Machel e una dello Stato portoghese, comandata da Melo Antunes, che era allora il MNE del Governo portoghese, stabilirono un accordo, l’accordo di Lusaka, che dava per terminata la dominazione coloniale portoghese. Parallelamente a questo accordo fu firmato un “Accordo di Cessato il Fuoco” che costituì un importante strumento che regolò la fine della guerra decennale in termini di dignità e permise di eseguire con sicurezza l’evacuazione delle forze portoghesi dai centri di conflitto. Nello stesso istante che decorrevano gli accordi di Lusaka, un gruppo autodenominato “Moçambique Livre” (un movimento disorganizzato per la maggior parte bianchi in cui si aggregarono moçambicani negri che avevano militato nella Frelimo) in opposizione agli accordi, occupò, a Loirenço Marques nel pomeriggio del giorno 7 settembre, la stazione del Radio Clube del Moçambique, situazione che durò alcuni giorni, fino al 10 di settembre.

Il movimento anti coloniale dell’Africa, durante tutta la decade del 1950, che promosse l’indipendenza della maggioranza dei paesi africani che erano stato sotti il dominio inglese, francese e belga; l’appoggio di vari paesi e organizzazioni internazionali all’indipendenza delle colonie portoghesi; il colpo di Stato militare in Portogallo del 25 aprile 1974 che pose fine al regime portoghese e, soprattutto, la determinazione dei Moçambjcani di dirigere il suo proprio destino contribuirono a che il FRELIMO potesse dichiarare la vittoria sopra il colonialismo portoghese e l’indipendenza del Paese, il 25 di giugno del 1975. Samora Machel, come presidente del FRELIMO fu eletto Presidente del nuovo Stato indipendente. A partire dall’indipendenza e durante circa 15 anni, Moçambique fu uno Stato di partito unico. Questo fenomeno, diffuso in tutta l’Africa, corrisponde, alias, all’ideologia nazionalista dominante nell’epoca, ancora presente ancora oggi come un fattore importante del discorso politico africano. Il nazionalismo era, per le elite dirigenti africane dell’epoca, la forma per garantire la “unità nazionale”, essendo il partito unico considerato lo strumento ideale, il più efficace, per mobilizzare l’insieme delle energie sociali e, nello stesso tempo, per promuovere lo sviluppo socioeconomico.

Il III Congresso del FRELIMO nel febbraio 1975 marcò la trasformazione dell’organizzazione in “partito marxista leninista”. Fu quindi creato il Partito Frelimo (PF).

Nello stesso anno, nello Stato comunista della Repubblica Popolare di Mozambico, si evidenziò un movimento politico di orientamento conservatore RENAMO (Resistencia Nacional Moçambicana). Movimento anti comunista che i servizi segreti dell’allora Rhodesia contribuirono a creare, in rappresaglia all’appoggio che il nuovo governo mozambicano dava ai guerriglieri antigovernativi rhodesiani. Dopo la scomparsa della Rhodesia il movimento fu sostenuto dal Sudafrica in rappresaglia all’appoggio che il Mozambico dava all’ANC.

Personalmente ricordo che in quel periodo, in un viaggio d’affari in Sudafrica, precisamente a Johannesburg, fui contattato dal proprietario portoghese di una Agenzia turistica, di cui ero stato cliente prima che si rifugiasse in Sudafrica da Lourenço Marques, proponendomi di accettare l’invito di Afonso Dhlakama, in città, interessato alla mia persona. Cosa che rifiutai.

Dopo un periodo di lotta armata tra RENAMO e FRELIMO ed un accordo di pace raggiunto nel 1992, il movimento Renamo divenne partito politico che partecipò alle elezioni Mozambicane.

Fu a Roma, appunto, il 4 ottobre 1992, con tre giorni di ritardo su quanto previsto, che il governo mozambicano, guidato da Joaquin Chissano e il maggior movimento d’opposizione Renamo, presieduto da Afonso Dhlakama, firmarono uno storico accordo di pace.

Tutto sembrava lasciar prevedere un futuro roseo per il Mozambico, dopo 29 anni di guerra civile. Distruttiva sia per quanto riguarda il bilancio di vite umane (circa un milione di morti, incluso bianchi) che alle infrastrutture del paese, in pratica completamente distrutte. Un conflitto inserito nel contesto della guerra fredda, con la Renamo finanziata prima dal regime separatista rhodesiano di Ian Smith e poi dal regime dell’apartheid sudafricano.

Guerra sostenuta dalle truppe dello Zimbabwe (nuova denominazione della Rhodesia di Jan Smith) con Mugabe già al potere dal 1981, e dal sostegno politico più che militare da paesi quali l’Unione Sovietica, Cuba e la Cina, in appoggio al Partito FRELIMO al Governo del Mozambico.

Un processo di “pace negativa” in un paese in cui due etnie alleate (i Makonde di Capo Delgato e i Ronga del sud) entrambe minoritarie, facevano da padroni quando a benefici economici, politici e formativi per la maggior parte a loro favore.

“Pace negativa, ossia l’assenza di guerra, non significa armonia e coesione sociale, non significa vera pace”. In questa situazione negativa il Mozambico si è fermato, malgrado gli accordi di pace a Roma del 1992 ed i successivi accordi di sospensione del conflitto firmati dalle due parti. In tale situazione il paese è rimasto fino ad oggi. Disuguaglianze enormi fra nord e sud, fra campagna e città, in parte fra uomini e donne, con una corruzione sistematica che ha privilegiato soltanto alcuni – di solito appartenenti alle etnie sopra citate e comunque legati necessariamente al partito al governo – non lasciando neanche le briciole agli altri. Senza dimenticare i contrasti cruenti ripresi nel 2013 fra governo e Renamo, e l’ormai nota guerra pseudo – islamista a Cabo Delgado.

Dopo tante reminiscenze, piacevoli e spiacevoli, del periodo coloniale portoghese, e gli anni di lotta armata, sorge spontanea la domanda: Cosa la Repubblica Popolare di Mozambico sta elargendo e, si prospetta, potrà e dovrebbe elargire, nel fluire degli anni, all’onesto e gentile popolo mozambicano?


  • Fonti : <<Moçambique Historia e Cultura>> di Aurelio Rocha nato a Pemba, Capo del Gado nord di Moçambique.

Sebastiano Borriello
Sebastiano Borriello
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