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Tratto dal n°18 -19
de LA TORRE -
28 Novembre 1974
 

Il Legno della Croce alla nostra città
Donarono il Legno della Croce alla nostra città -

I CARAFA DELLA ROCCELLA
Una ricca famiglia perseguitata dalla iella - Matrimoni senza prole - Altri documenti circa la successione legittima dei feudatari - I pretendenti di donna Giulia Carafa

Circa la superstizione non tutti sono d'accordo però, iniziando il nostro dire, non possiamo non essere solidali con quelli che ci credono. Perciò, attenzione al giorno e alla data e, se siete fra quelli che credono e o ritenete opportuno, fate pure gli scongiuri, adottando il...sistema che a voi sembra più efficace....
Erano circa le ore tre, prima dell'alba, di... venerdì 13 marzo 1671, quando don Fabrizio Carafa principe della Roccella, nello scendere dalla sua carrozza per salire in quella di don Francesco Maria Ruffo principe di Scilla, pose un piede in fallo e si ruppe una gamba.
Proprio in quei giorni fervevano i preparativi delle nozze di Carlo Maria Carafa, l'unico figlio maschio di don Fabrizio, con la cugina Isabella d'Avalos, figlia dei marchesi di Pescara e del Vasto. Lo zio della sposa, mons. Bonaventura d'Avalos, era già partito alla volta di Pescara a prelevare la nipote e da un giorno all'altro era previsto l'arrivo da Roma del cardinale Carlo Carafa zio dello sposo. La cerimonia dello sposalizio doveva aver luogo a Procida ed era stato predisposto uno sfarzosissimo cerimoniale.
Purtroppo nei giorni seguenti l'infortunio, per sopraggiunta cancrena, le condizioni dell'infermo divennero critiche a tal punto che egli, vistosi prossimo a morire, fece celebrare il matrimonio per procura e il 24 marzo alle ore 22, passò a miglior vita.
Dei cinque fratelli Carafa della Roccella, soltanto don Fabrizio aveva preso moglie. Gli altri quattro erano, Carlo (1611-1690) che, come abbiamo detto, era cardinale; Paolo (...-1688) era vescovo di Aversa; Fra' Gregorio (1614 - 1690) era priore della Roccella e sovrintendente alle fortificazioni dell'isola di Malta, per i suoi eccezionali meriti acquisiti nella guerra di Candia contro i Turchi, come comandante supremo delle galere; ed infine Fortunato che non era ancora sposato.
Carlo Maria Carafa non era l'unico figlio di don Fabrizio: aveva una sorella di nome Giulia che contava otto anni di più, essendo nata l'8 dicembre 1643. Di lei parleremo tra poco.
Il 10 maggio 1680, giunse a Napoli la notizia che Fra' Gregorio Carafa, zio di Carlo Maria, era stato nominato Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta. La nomina del priore della Roccella all'altissima carica fu accolta a Napoli con grande giubilo da tutte le famiglie dell'estesissima casata, discendenti tutte dal leggendario Antonio Carafa detto «Malizia» che, dal 1419 al 1424, fu «barone» di Torre del Greco. Fuochi e luminarie si protrassero per tre sere consecutive e i festeggiamenti si conclusero il 1° settembre nella chiesa di San Giovanni a Mare, chiesa fondata dai cavalieri di Malta, con una solenne messa accompagnata da musica a quattro cori, celebrata dal vescovo di Aversa mons. Paolo Carafa.
Qualche anno dopo, Carlo ed Isabella si recarono a Malta per far visita allo zio e furono di ritorno a Napoli il 4 aprile 1682.
L'anno seguente Carlo Maria Carafa, incaricato da re Carlo II di Spagna a presentare al papa Innocente XI la «chinea» che, ogni tre anni, i sovrani di Napoli tributavano al pontefice, il 15 dicembre 1683 partì per Roma e la consegnò il 2 gennaio 1684, giorno del suo trentatreesimo genetliaco.
Gli onori, i viaggi, le ricchezze non riuscivano a distrarre i due... infelici coniugi. Si era nel 1685. Erano trascorsi quattordici anni dal loro matrimonio ma nessun erede era giunto e le speranze che venisse, diventavano sempre più tenui. In cima al loro pensiero c'era la desolazione  di non poter lasciare a un proprio figlio le loro immense ricchezze. Ma non erano i soli a preoccuparsi. Si preoccupava anche zio Fortunato il quale, nel cercare di far onore al proprio nome con la «fortuna» della famiglia e col proposito di procreare lui l'erede  s'era fidanzato da tempo con la nipote Giulia che dovette acconsentire per gli stessi motivi.
Il matrimonio però non avvenne perché il papa, alle reiterate richieste degli interessati non volle mai concedere la dispensa, trattandosi di unione tra consanguinei.
 Nello stesso anno, come per tutte le donne destinate a maritarsi, anche per donna Giulia venne quel «benedetto giorno». E così nell'ultima decade d'aprile del 1685, la sorella del principe di Butera e della Roccella, donna Giulia Carafa, convolò a giuste nozze con Federico Carafa dei duchi di Bruzzano. Dopo le nozze se ne andarono a vivere nel feudo della famiglia a Bruzzano nella Calabria ultra. E dato che sono in luna di miele, lasciamoli soli e, in punta di piedi, andiamo a vedere piuttosto come e perché la reliquia del sacro Legno della Croce venne a Torre del Greco.
Con una galera della squadra navale spagnola, che salpò da Napoli il 15 giugno 1686, Carlo Maria Carafa e la moglie Isabella partirono per Palermo per visitare i vasti e numerosi feudi ereditati in Sicilia. Il principe oltre ad ereditare, in Calabria, il principato della Roccella con Castelvetere (oggi Caulonia) aveva ereditato, in Sicilia, i feudi di Giuseppe Branciforte e cioè il principato di Butera, quello di Modica che appartenne a Raimondo Santopau nel sec. XIV e quello di Matteo Barresi nel sec. XI. Perciò al suo nome seguivano anche questi titoli oltre a quelli di principe del Sacro Romano Impero e Grande di Spagna.
Era trascorso esattamente u anno dalla sua partenza da Napoli, quando, dal suo palazzo di Mazzarino, con una lettera di accompagnamento, datata 13 giugno 1687, nella quale erano descritte le caratteristiche dell'oggetto che si spediva, Carlo Maria Carafa, Branciforte, Santapau e Barresi, principe di Butera, primo dignitario del Reale Ordine di Sicilia al di là del Faro, principe della Roccella e del Sacro Romano Impero ecc. ecc... inviò a Torre del Greco, una scheggia del sacro Legno della Croce racchiusa in na piccola urna di cristallo a forma di cuore, finemente decorata con argento dorato. L'aveva ricevuta, come egli stesso precisò nella lettera, dal cardinale Francesco Maldalchino con la facoltà di destinarla dove meglio credeva. La lettera inoltre recava il motivo della donazione che, in sintesi era il seguente:

 All'Università e agli abitanti di Ercolano, comunemente detta Torre del Greco, per le molte dimostrazioni di affetto accolte da noi con animo grato, per l'amore e la fedeltà verso la nostra Casa e per il mantenimento nel tempo del nostro ricordo in detta terra.

Al tempo in cui scrisse il nostro Francesco Balzano (1688) i Governatori della chiesa di S. Croce «per gratitudine ed ossequio di tanto beneficio ricevuto» avevano approntato un'iscrizione da apporre nel luogo dove fu sistemata la reliquia; iscrizione che non ancora era stata riportata sul marmo, né sappiamo se ciò fu fatto, dato che dopo il Balzano nessuno mai ne ha parlato. La trascriviamo per conoscenza al lettore

EXCELLENTISSIMO VIRO / CAROLO MARIA CARAFA / BUTERE, ROCCELLAE ET S.P.I./ PRINCIPI, / ET / HISPANIARUM PRIMI ORDINIS MAGNATI, / OB SS.MAE CRUCIS D. N. IESU CHRISTI, LIGNUM / HERCULANIS ELARGITUM, / IN ECCLESIA SANTAE CRUCIS, MAGNA / DEVOTIONE, REPOSITUM, / CLERUS, ET POPULUS HERCULANUS, / GRATITUDINIS ERGO, / HOC MONUMENTUM P.P./ AN. DOM. M.DC.LXXXVII /

Occorre a questo punto precisare che poco più di un secolo dopo, nell'eruzione del 15 giugno 1794, con la distruzione totale della chiesa, andò tutto perduto.
L'attuale reliquia del Legno fu donata alla nuova chiesa di S: Croce, nel 1798, dal cardinale Giuseppe Capece Zurlo.
Carlo Maria Carafa non vide più Napoli. Morì in Sicilia il 1° maggio 1695, all'età di quarantaquattro anni (era nato il 2 febbraio del 1651) e, proprio come si prevedeva non lasciò alcun figlio.
Si ripetette quello che avveniva proprio in quegli anni per la successione di Nicola Gusman Carafa principe di Stigliano «barone» di Torre del Greco; in ambedue i casi le legittime eredi furono le sorelle dei defunti che non avevano lasciato alcun figlio.
Come la sorella del principe di Stigliano, Maria Anna Sinforosa Gusman duchessa di Medina Sidonia, ereditò il feudo di Teano, quello di Torre del Greco con Resina e Portici e il titolo diventando ANCHE principessa di Stigliano, così la sorella di Carlo Maria Carafa, Giulia duchessa di Bruzzano, come erede dell'intero patrimonio del fratello, divenne principessa di Butera e della Roccella.
Ed ecco il documento... da «compulsare».

8 giugno 1695 - E' venuto avviso che sia morto in Sicilia il signor don Carlo Maria Carrafa principe di Butera e della Roccella, senza lasciare della principessa donna Isabella d'Avalos sua moglie prole alcuna; onde VIENE AD ESSERE SUA LEGITTIMA SUCCEDITRICE LA SIGNORA DONNA GIULIA CARAFA SUA SORELLA CARNALE, moglie di don Federico di Bruzzano. (D. Confuorto - Giornali).

Se ci fossero ancora «lettori perplessi» facciamo «compulsare» loro anche quest'altro che segue.

Luglio 1697 - «Con lettera di Calabria di questa settimana è venuto avviso sia morto don Federico Carafa di Bruzzano, marito di donna Giulia Carrafa, SORELLA ED EREDE, di don Carlo Maria Carrafa principe della Roccella e di Botera, che perciò egli, come marito di detta donna Giulia, godeva di tali titoli . Ed è morto senza prole.» (D. Confuorto).  

Altro matrimonio senza prole dunque. Donna Giulia combatteva sull'ultima trincea. Come il fratello e la cognata, era disperata di non poter lasciare ad un suo diretto successore i feudi ereditati. Tre mesi dopo la morte del marito, ai primi di novembre, piombò a Napoli.
 Appena giunta nella capitale incominciò a circolare, negli ambienti della nobiltà napoletana, la voce che donna Giulia era venuta a Napoli per sposare Paolo Carafa di Bruzzano, nipote del defunto marito, il quale in realtà stava alla corte di Madrid e, forse, non sapeva nulla di ciò che stava accadendo. Tra le tante voci non mancavano quelle maligne le quale insinuavano che donna Giulia volesse sposare il giovane nipote per tentare di far prole in modo di poter tramandare il dominio del principato di Butera e degli altri feudi di Sicilia. E sempre con malignità aggiungevano che per fare un figlio, donna Giulia avrebbe dovuto ripetere il miracolo di santa Elisabetta.
Non sappiamo se le intenzioni di donna Giulia erano quelle, ma se lo erano, grande e amara dovette essere la sua delusione, perché Paolo Carafa il nipote agognato non si fece mai vivo e continuò a starsene a Madrid.
Le enormi ricchezze della vedova d'oro come si direbbe oggi, destarono la cupidigia a parecchi nobili e le proposte di matrimonio fioccavano da tutte le parti. Nella faccenda intervenne anche il viceré: il duca di Medina Coeli Luigi de la Zerda, ma sarebbe più giusto dire de la M...per il suo disgustoso comportamento usato nei riguardi della vedova.
Il viceré essendo grande amico e protettore di don Giuseppe de' Medici principe di Ottajano e della famiglia di costui, pensò, o fu sollecitato dagli interessati, di assicurare a questi l'ottimo partito. Perciò, chiamata presso di sé donna Giulia le propose di unirsi in matrimonio, o con il detto don Giuseppe, se avesse voluto un marito attempato, oppure con il figlio di questi, Ottaviano duca di Sarno, se lo avesse preferito giovane ed in piena efficienza. Di fronte le quasi oscene proposte del viceré, la donna per poco non svenne. Raccolte le sue forze disse che avrebbe voluto pensarci bene prima di decidersi e dare la riposta; ma era solo un pretesto per troncare il ripugnante colloquio e allontanarsi.
I due pretendenti ...della principessa, padre e figlio, erano vedovi tutti e due. Il padre era vedovo di una ricchissima principessa di origine genovese (gli portò in dote sessantamila ducati, cifra enorme a quei tempi). L'aveva sposata nell'aprile  del 1687 ed era figlia di don Carlo de' Mari principe d'Acquaviva che era proprietario a Portici di quel palazzo in cui era morta, nel 1644, l'ex vice regina di Napoli Anna Carafa che fu «padrona» di Torre del Greco e che alcuni storici fecero morire invece a Pietrabianca. La de' Mari perse la vita per metterne al mondo un'altra, quella del suo primogenito che le sopravvisse.
Intanto si continuava a sussurrare con insistenza del prossimo matrimonio di donna Giulia col nipote don Paolo. Ciò che si vociferava giunse all'orecchio del viceré, il quale, non avendo ricevuto ancora nessuna risposta, credette che realmente la vedova stesse per risposarsi. Adiratissimo le ingiunse di non contrarre matrimonio con chicchessia senza il consenso ed ordine di Sua Maestà.... L'ingiunzione fu inutile. Per donna Giulia era la fine di tutto.
Forse avrebbe voluto veramente sposare Paolo Carafa di Bruzzano, ma questi o non volle o non capì. E forse non era neppure vero che voleva far figli, come dicevano le malelingue. Nessuno più di lei stessa sapeva che ormai aveva cinquantaquattro anni e che ciò era impossibile. Nauseata e stanca di lottare contro l'avidità di denaro dei suoi «nobili» pretendenti, abbandonò ogni idea di risposarsi. Morì il 4 febbraio del 1703. Non aveva ancora compiuti i sessant'anni. 

Raffaele Raimondo