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Tratto dal n°16
de LA TORRE
14-10-1969
 
 
 
Bentornata, Joséphine!
 

Una semplice pedana e una ribalta sono state più che sufficienti per il debutto televisivo italiano di una grande «stella». La più grande di tutte, nel suo genere.
Joséphine Baker sta al music-hall come Greta Garbo sta al Cinema, come il nome di Leonora Duse sta al Teatro.
Quattro lampade, un pianoforte ed una batteria è stato tutto l'occorrente ed è risultato anche di troppo. E' bastata lei, lei sola, con il suo metro e ottanta di statura fisica ma molto molto di più di statura artistica, per mantenere i telespettatori di ogni età con la bocca spalancata, per i sbadigli che provocano i vari presentatori e canzonettari dei programmi televisivi nostrani, ma per lo interesse e l'ammirazione per essa, autentica «regina». E gli applausi non erano comandati, e ciò si è notato chiaramente dalla meritata, prolungata e spontanea ovazione a chiusura dello spettacolo.
C'è da domandarsi se è una cosa piacevole che il pubblico non pagante entri nelle case di tutti e applauda o urli mentre il teleutente che paga, sta tediandosi borbottando e imprecando.
Un esempio che racchiude in sé il pessimo gusto e la  conseguente indignazione e il collegamento esterno avvenuto alla prima (oh, se fosse l'ultima) puntata di «Canzonissima»: Per la votazione delle canzonette e dei canzonettari, hanno fatto ricorso (che originalità), senso alcun senso della misura, nientedimeno che, ad un sommergibile. Ad una austera e solenne unità da guerra della Marina Italiana. Una nave armata sulla quale sventolava il più alto e sacro simbolo. la Bandiera Nazionale.
Almeno il telecronista avesse trovato il modo di dire qualche sciocchezza in meno e dire qualcosa di più, e cioè: - Questa meravigliosa nave della Patria, cioè del Popolo Italiano, porta il nome del capitano Alfredo Cappellini eroico comandante della nave «Palestro», con la quale perì, nella gloriosa quanto sventurata battaglia navale di Libia, nel 1866.
Sarebbe valso certamente più di qualsiasi canzone e centinaia di migliaia di telespettatori avrebbero appreso qualcosa di più utile. Ma allora è proprio vero che non pensa più nessuno?
Aveva  proprio ragione Roberto Bracco, illustre scrittore napoletano?
Nella presentazione di un libro sul teatro napoletano di Aniello Costagliola, scrisse:
«So di presentare questo volume a un pubblico che non è folla. Lo confermo. Quando si avanza il Pensiero, le folle fuggono». Nel gennaio del 1929, quando non c'era la libertà, Bracco ebbe il coraggio di scrivere questo.
Avrete certamente capito la frecciata a chi era diretta. La frecciata non era diretta a lui, ma alle folle che a quei tempi erano più o meno oceaniche e lo applaudivano.
In qualunque modo, con qualsiasi mezzo o fine, quando le folle diventano oceaniche non esiste più il Pensiero.
Ed oggi conta solo la folla dal gusto grossolano e facile, dalla quale , con la stessa facilità, i furbi ricavano miliardi a vagoni ferrovieri: perché il dire a palate non basta più.
Uh! che sbadato! Ho lanciato la palla fuori campo! Come dice il direttore e come dicono anche alcuni lettori! ... Ma non stavamo parlando di Joséfine Baker?

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Joséphine Baker nasce a Saint Louis nello Stato del Missouri - USA- nel 1906. A meno di vent'anni, nel 1925, si esibisce a Parigi in un piccolo cabaret di Montmartre che porta il suo nome «Chez Joséphine».
La chiamano «la venere negra», ma in realtà non è una negra. E' una mulatta color cioccolato chiaro, che danza seminuda, coperta soltanto da un gonnellino fatto di banane ...
Qui entra in scena un italiano e più precisamente un siciliano, anche se dal nome potrebbe apparire di altra nazionalità. Si chiama Pepito Abatino, ricchissimo e scavezzacollo. E' amico, inoltre, di mezza Parigi. Frequenta impresari e direttori di teatro e fra i tanti è amico di Monsieur Derval direttore di Folies-Bergère. Anche se c'è ben poco da scoprire di Joséphine, Pepito la «scopre». Scopre il di lei talento artistico.
Prima con una intensa, e poi, con la scrittura alle «Folies-Bergére» , nel 1926, la Baker esordisce con la rivista «La folie du jour» . Quella follia di un giorno che durerà tutta la vita.
Nel 1927, appena dopo un anno, racconta Luciano Ramo nella sua «Storia del varietà» , Garzanti 1956 - scompare il gonnellino di banane e una costellazione di brillanti copre e scopre la Baker, nel quadro «Le nozze di diamanti».
Dopo lo spettacolo alle Folies, Joséphine va nel suo piccolo «cabaret» che continua a gestire e ogni notte a «Chez Joséphine» si fa a pugni per entrare, fra due file di «sergents de ville», i classici metropolitani francesi.
Qualche anno dopo, nel 1930, Joséphine inizia la carriera di cantante. E' Pepito ad incoraggiarla perché Joséphine è di natura assai timida. Si potrebbe obbiettare non può esserci timidezza in una donna che si esibisce quasi nuda, ma l'arte della Baker va confusa con la sfacciataggine e l'impudicizia, come avremo occasione di rilevare in seguito.
Al suo debutto come cantante collabora validamente un altro italiano, il musicista Vincenzo Scotta che compone la musica per il più grande successo della «Venere negra»:
J'AI DEUX AMOURS MON PAYS ET PARIS
Quante «cantanti» (non dimenticare le virgolette proto!) possono vantare testimonianza di ammirazione entusiastica di personaggi illustri della Letteratura, del Teatro e dell'Arte? Ne citiamo alcune:
Luigi Pirandello : Tutta la mia ammirazione alla grande attrice.
Massimo Bontempelli : Con entusiasmo immenso, dopo una indimenticabile serata di grande Arte.
Francesco Pastonchi : A Joséphine, poesia che danza sulle rive degli oceani.
Guida da Verona : A la femme couleur de la nuit aux yeux d'aurore.
F- T. Marinetti : Alla sua linea dinamica , sintesi di tutte le divine oasi africane, con profonda ammirazione futurista.
Dario Niccodemi : A Joséphine Baker qui à la couleurs de l'Art.
Oltre la sua statura fisica ed artistica c'è quella morale. Ecco che dice di se stesso:
« A otto anni lavoravo già per calmare la fame dei miei. Ho sofferto la fame ed il freddo. Ho una famiglia. Mi hanno detto che ero brutta. Che danzavo come una scimmia. Un giorno mi hanno trovata meno brutta. Mi hanno fischiata. Mi hanno applaudita. Ho continuato a danzare. A cantare. Ho avuto fortuna. Ho una mascotte:  una pantera. Ho girato il mondo. Sono morale. Mi giudicano il contrario. Non fumo. Non bevo. Ho una religione. Adoro i bambini. Amo i fiori. Aiuto i poveri. Guadagno molto. Faccio dell'economia.

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La Baker si esibisce in tutte le magiori città del mondo, tranne che negli U. S .A., per motivi di razza.
Nel 1935 è a Roma e deve esibirsi «vestita dal collo alle caviglie» perché dicono che l'austerità del regime fascista non consente esibizioni scandalose.
Seminuda, vestita o nel sacco, è sempre Joséphine Baker e passa quindi di trionfo in trionfo, anche in Italia. Dovunque lascia i segni della sua bontà e della sua solidarietà per quelli che hanno più bisogno.
Un parroco della Sicilia le scrive: «... Dio vi benedica per il bene che avete fatto alle mie povere creature: vi bacio le mani ... » E quando dice «ho una religione» non mente, come purtroppo si usa fare oggi sapendo di mentire.
Chiede di essere ricevuta dal Papa ed il Santo Padre Pio XI (papa Achille Ratti) accoglie la richiesta e otto giorni dopo è ricevuta in Vaticano.
 Vestita di nero e velata, si genuflette ai piedi del Pontefice. Per la gioia e la sua immensa commozione prorompe in pianto e le sue lacrime bagnano le mani di Sua Santità.
Non molto tempo fa una «attrice» (proto, anceh qui le virgolette) osò presentarsi  in... minigonna.

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Dopo la morte di Pepito Abatino nel 1946 la Baker sposa il compositore e direttore d'orchestra Jo Bouillon.
Nel 1956 dopo un ultimo giro artistico in Europa ed oltreoceano, dà l'addio alle scene per dedicarsi alla educazione dei suoi sei figliuoli adottivi. Sono sei «les amours».
Oggi «les amours» sono quattordici.

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Giorni fa è intervenuta al Congresso Internazionale di Pediatria tenuto presso l'Università di Pisa, prendendo la parola sul tema: «L'adozione dei bambini»
Per l'alta, nobile missione umanitaria tu sei l'ONU  dell'Amore!.
Grazie, Joséphine!