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Tratto dal n° 15
de LA TORRE -
29 Settembre 1966
 
 
Da «Principio a mmare» ai Giardini reali di Napoli
 
MORTA PIEDIGROTTA, VIVA PIEDIGROTTA
 

di Raffaele Raimondo

Italia canzonettara e pallonista in piedi!
Con il buon senso, il gusto della musica ed il segno della misura, abbiamo pazientato troppi anni: ora basta! (Queste parole, se non proprio queste, pare di averle ascoltate già una volta, ma non riesco a ricordare da chi).
Come gli assuefatti agli stupefacenti hanno bisogno irrefrenabile di procurarsi la droga, così non passa giorno, ora, minuto, che non venga propinata a milioni di ascoltatori volontari od involontari la relativa dose di roba di tal genere che chiamano canzoni ed invece «imbecillitina» prodotta negli stabilimenti farmaceutici «RAI» Radiotelevisione italiana. Non si fa niente in Italia se non ci sono canzoni...e che canzoni!
Una notizia confortante da Parigi, lascia sperare che questa epidemia di cretinaggine si avvii verso la fine. Infatti, il pubblico della «Ville Lumière» si reca agli spettacoli degli astri dello yè yè fornito di ortaggi e verdura che scaraventa sui cantanti a mo' di proiettili, accompagnando il lancio con salve di fischi che, finalmente, non sono applausi.
Lotterie abbinate alle canzoni, festivals, Cantagiro, Cantaeuropa, moltiplicati per mille, duemila fino alla nausea, che, purtroppo, a milioni di individui non viene.
Abbiamo appena digerito, con l'ausilio di flaconi interi di bicarbonata, digestivo «Antonietta» ed «Alfa Setter», l'ultimo festival della canzone (?) napoletana. Oh! spiriti eletti di Di Giacomo, de Curtis, Falvo, Lama, Bovio, Valente, Murolo, Tagliaferri, dove siete? E dove siete Pasquariello, Parisi, Papaccio, Donnarumma, Mignonette, Zara I ecc.?
Abbiamo ascoltato una lagna mai sentita prima, ad eccezione di «A pizza» che è piaciuta in modo particolare a Pierino Vitiello. Centinaia di direttori d'orchestra e altrettanti can...tanti. Eppure Napoli era la fucina delle canzoni (quelle vere) applaudite non solamente in Italia ma nel mondo intero. I napoletani si sono fatti detronizzare senza muovere un dito e con la complicità degli organizzatori hanno distrutto anche la grande manifestazione folkloristica di Piedigrotta.

*** *** ***

Ci troviamo sul lungomare di Via Caracciolo prospiciente la Villa Comunale di Napoli, Peppino Raiola ed io.
Con i volti impregnati di tristezza guardiamo in silenzio e con commiserazione quelle poche «lampetelle» nei viali della Villa. Gruppetti spauriti di giovanastri fanno scempio delle aiuole e degli alberi. Cianfrusaglie messe su alla buona nell'intenzione dei progettisti e degli esecutori sono i «carri». Quei «carri» che Torre del Greco con i suoi artisti (Antonio Mennella, Vincenzo Noto, Salvatore d'Amato, Nicola Ascione, Antonio D'Auria ecc.) aveva innalzato a vere opere d'arte.
E' Peppino a rompere il silenzio. Tentennando il capo e socchiudendo gli occhi, come è sua abitudine quando vuole ricordarsi di un fatto remoto, accenna a parlare.
- Non ricordo bene - dice - ma deve essere accaduto nel 1930.
Nella Piedigrotta di quell'anno debuttammo ai giardini reali di Napoli. Dico debuttammo, perché non ero solo. Sulle locandine e nei giornali per alcuni giorni figuravano a caratteri cubitali il «numero»: i maestri cantori di Torre del Greco.
Una pausa e Peppino continua: - Nella trattoria di «Principio a mmare» a Torre del Greco quella sera di fine agosto l'atmosfera non era allegra. Ad un tavolo erano seduti il prof, De Corsi, il conte Giuseppe Matarazzo, lo scrittore Adolfo Narciso ed altri ancora: giornalisti e pittori, amici di De Corsi, che sovente si recavano da lui per trascorrere un po' di tempo in buona compagnia ed in...buona tavola.
In un angolo appartato eravamo riuniti, strumenti musicali compresi, io ed uno stuolo di amici che tu conosci o che conoscevi, perché tanti di essi non sono più con noi.
- Caro Peppino sono trascorsi trentasei anni - aggiungo.
Qualche «lampara» si avvicina alla scogliera di protezione. Ci sediamo sui ferri tubolari del parapetto mentre lui continua: Ma almeno ti ricordi di Filippo Raiola e di Eduardo Cioffi? Accenna di sì col capo (Filippone perse la vita in un banale ed inspiegabile investimento ferroviario e Eduardo Cioffi vive a Genova e viene spesso a Torre).
Ti ho detto che l'atmosfera non era allegra e ti spiego ora il perché.
Quel giorno un temporale di fine stagione aveva sollevato un po' di mare ed i pescatori erano rimasti a mani vuote. Principio era fuori di sé, non aveva nulla da servire agli ospiti di De Corsi, i quali speravano di trovare un po' di pesce fresco e quasi si accingevano ad andarsene. A questo punto una voce si levò nella sala: - Potrei tentare se aspettate un poco; ho visto poco fa una macchia di argento tra gli scogli «d'ò turcone». Era la voce di Aniello «austino» conosciutissimo per la sua bravura nella pesca con il « vacchio».
Peppino mi illustra in che cosa consiste la pesca con il «vacchio», come è fatto l'attrezzo e l'abilità che occorre nell'adoperarlo, quindi proseguiva nel suo racconto:
- Aniello, tornò dopo un quarto d'ora circa. Con una rete fatta a forma di borsa nella quale si dibattevano una cinquantina di cefali dalle squame d'argento. Con aria spavalda, fra gli ooh! di meraviglia, gettò su di un tavolo l'involto dicendo: Volevate il pesce? Eccolo!
Il pesce fresco richiamò parecchio vino del Vesuvio e, mentre il naso di De Corsi si faceva sempre più paonazzo, l'atmosfera diventava sempre più euforica. Si cantò fino a tarda ora, anzi fino alle ore piccole poiché il nuovo giorno era già arrivato con le prime luci dell'alba.
Fra gli applausi ed i saluti, nacque l'idea di portare il gruppo di poeti e musicisti torresi ai giardini di Napoli, dove si svolgevano da diverse sere, degli spettacoli di varietà all'aperto, imperniati sulla rievocazione delle più celebri canzoni napoletane e con la partecipazione di Raimondo de Angelis e la figlia Carmen, Ferdinando Rubino, Parisi, Gabrà, cioè quelli che allora erano definiti i cannoni per la loro potenza di voce.
Il comm. Raffaele Viviani chiudeva lo spettacolo con le sue tipiche creazioni.
Il debutto avvenne - continua a raccontare Peppino - un lunedì sera e riportammo uno strepitoso successo di critica e di consenso di pubblico, che nelle sere successive affollava sempre più i giardini reali per ascoltare il «numero» dei Maestri cantori... di Torre del Greco.
Con le serate successive richiamammo l'attenzione su di noi dei più grandi editori ed autori dell'epoca, quali: Francesco Feola, Gennarelli, Ernesto Murolo, il milanese-napoletano Bixio e tanti altri.
I giardini erano disseminati di posteggi di frutti di mare, «maruzze» e meloni e su una di queste bancarelle di rossi e succosi frutti troneggiava una sestina da me improvvisata qualche sera prima:

Io vengo dal regno dello fuoco
e come vedi fuoco porto meco
lo Pluto mi ha spedito in questo luogo
e dei comandi suoi già sento l'eco.
Io grido al buon passante ed ed al caro amico:
So belle sti mellune chine è fuoco!

Proprio a quella bancarella tra il primo e secondo spettacolo ci incontrammo con un folto gruppo di autori napoletani ed in un clima di affettuosa amicizia furono «sacrificati» due enormi cocomeri.
Salvatore Baratta, che mi conosceva, mi prego di far eseguire dal mio gruppo un paio di canzoni degli autori napoletani presenti. Ne scegliemmo due: «A Furastera» composta da due poeti, infatti, gli autori dei versi erano Libero Bovio ed Ernesto Murolo, la musica di Evemero Nardella, e «Core Signore» di Salvatore Baratta e Nicola Valente. Gli applausi ed il delirio del pubblico arrivarono alle stelle e dovemmo eseguirle più di una volta e fu un trionfo per Eduardo Cioffi.
Dopo lo spettacolo - è sempre Peppino che parla - fui chiamato al «botteghino» (biglietteria) dal comm. Raffaele Viviani. Mi avvicinai a lui e rispettosamente gli chiesi:
- Commendatò! quali sono i vostri ordini?- -Prego! Prego!- rispose il grande attore, con la sua inconfondibile voce rauca e continuò: - Qui siamo arrivati ad un punto sul quale dobbiamo metterci d'accordo.- - Commendatò, scusate, io non «acchiappo», non afferro: in che cosa dobbiamo metterci d'accordo.- Maestro, in poche parole, qua chi deve fare lo spettacolo, voi o noi ? - - Cioè - si corresse - chi deve presentare le canzoni antiche, voi o loro? Alludeva ai cantanti di professione.
Caro Raffaele, non sapevo se avevo capito fin troppo bene o se non avevo capito affatto. Rimasi interdetto.
Viviani aggiunse: - Ho saputo che voi avete composto delle canzoni. Allora io propongo questo: domani sera voi farete eseguire dal vostro gruppo le canzoni composte da voi . e gli altri, come già stavamo facendo da diverse sere, eseguiranno il loro repertorio.
La sere seguente infatti eseguimmo le mie canzoni , quelle nate a Torre del Greco. Eduardo Cioffi eseguì: «Miglio d'Oro», Filippo Raiola: «Casarella d'ò monte», Arestullo : «Campagnola» e, accompagnandomi con la chitarra, io esegui un'altra mia canzone: «Canta». Nell'intervallo tra i due spettacoli il duca Maresca di Serracapriola si avvicinò ad Eduardo Cioffi e quasi in segreto gli «mollò»due pezzi d'argento da venti lire. Ho detto quasi in segreto, perché gli occhi felini di Filippone avevano visto. Appena il duca si allontanò, Filippo piombò su Eduardo e gli chiese: Che ti ha dato il duca? - Niente ...un pacchetto di sigarette. Eduà! da quando le sigarette hanno incominciato a luccicare? Fuori i soldi! Così Eduardo prima l'una e poi l'altra, mise fuori le due monete d'argento.
Sia nel primo che nel secondo spettacolo il pubblico era entusiasta e non ci lesinava gli applausi lunghi e scroscianti. Dalle facce degli «artisti» di professione si vedeva che nell'aria spirava qualcosa d'insolito e di malcontento.Il pubblico era tutto per noi e questo li innervosiva non poco.
Dopo lo spettacolo fui chiamato alla biglietteria dove mi attendeva, questa volta, l'impresario che con voce melliflua, cercando di giustificarsi, non trovava parole per dire quello che voleva dire. Fui io stesso a trarlo dall'imbarazzo: - Ho capito. Dobbiamo andarcene?
E così finì il breve ed effimero trionfo dei Cantori di... Torre del Greco...
Caro Peppino! - dico, interrompendolo - trattandosi di canzoni è sempre... la medesima storia, cioè al pubblico non si dà quello che chiede, ma quello che gli si vuole imporre, ed oggi lo fanno sfacciatamente.
Ci rimase la bocca amara- aggiunse Peppino - per l'ingiustizia subita. Ci furono di conforto il giudizio del pubblico e le due palanche di argento del duca, che furono tramutate in bottiglie di quel vino di Principio che, se prima aveva procurato il nostro successo, dopo servì a consolarci ed a farci dimenticare.