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Tratto dal n°20-21
de LA TORRE 
Dicembre 1974 

 
 

Come dalla cronaca nera si passa all'idealismo

LA CONTESSA LARA


Oggi tutto fa brodo- Il degradamento morale e fisico di una donna, vista con simpatia dai rinnovatori globali della «decadente società borghese»- Una squallida vita presa come ideale per la futura emancipazione della donna - La miserabile fine della poetessa, rispolverata e addomesticata, andrà in onda prossimamente sui teleschermi, o meglio sui... «telescerni».


E' in corso di lavorazione nello studio N. 3 di Via Teulada, l'originale televisivo «La Contessa Lara». L'annuncio dato attraverso la stampa fa capire, in modo abbastanza chiaro, che la «contessa» malgrado i suoi atteggiamenti estrosi che la imposero come "personaggio", aveva in sé  la tempra di una femminista. Di una donna, cioè, che, nata in una società destinata a scomparire, avverte i fenomeni di un mondo nel quale si impone una presa di coscienza dei propri diritti e dei propri doveri e, contemporaneamente di una maggiore dignità (IL TEMPO - 21 novembre 1974).
L'elevazione... delle masse da parte della TV dell'attuale regime, continua. Ora si cerca di ampliare e perfezionare l'opera intrapresa, con l'innalzare al rango di idealista perfino un'isterica sensuale priva di qualsiasi freno morale, come ebbe a dire l'avvocato Barzilai durante il processo.
In attesa di vedere al più presto l'originale televisivo, che poi non è per niente originale perché ricavato da fatti realmente accaduti (come non è originale nemmeno ciò che scriviamo), vi raccontiamo in anteprima la storia della «contessa», anche per cercare assieme di trovare un nesso in cui intravedere una sia pure minima traccia di ideale riguardante l'emancipazione della donna.
Vediamo, dunque, come la «contessa» s'imponeva la presa di coscie...nza dei propri diritti e, soprattutto, dei propri doveri.

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La contessa Lara, al secolo Evelina Cattermole, nacque a Firenze, e non a Nizza come lei diceva a tutti, il 23 ottobre 1849, e non nel 1854 come voleva far credere. Il padre, Guglielmo Cattermole, era console e la madre una musicista russa la quale si separò dal marito, scomparendo così dalla scena.
Evelina a diciotto anni fece l'ingresso in «società» come si usa fare ancora oggi mantenendo in vita uno stupido rito, proprio di quella società borghese e decadente che si vuole cambiare. La ragazza aveva una discreta preparazione culturale. Fin dalla tenera età, aveva appreso la musica dalla madre, e dal padre le lingue straniere, mentre con la letteratura aveva preso dimestichezza nel salotto di Mariana Giarrè, dove frequentavano il poeta Pietro Giannone, Niccolò Tommaseo, Francesco Dall'Ongaro e altri.
Si era nel 1867, Firenze era la capitale d'Italia e nella città toscana. Patria delle Lettere, fiorivano diversi salotti letterari, primo tra tutti quello di Maria Letizia Bonaparte, nipote di Napoleone III e moglie dell'on. Urbano Rattazzi, presidente del Consiglio dei Ministri. Proprio qui Evelina fece il suo ingresso in società ed ebbe modo di far conoscere le sue doti di letterata. Successivamente passò a frequentare anche il salotto della poetessa Laura Beatrice Oliva, moglie del celebre patriota, giureconsulto e uomo politico Pasquale Stanislao Mancini, primo sostenitore del «centrosinistra».
Di Donna Laura si disse "che voleva educare gli italiani ai nuovi tempi ed educare le sue creature a ogni virtù". Fu proprio il suo ardente patriottismo ad attirare sul marito le ire del governo borbonico e quindi la fuga da Napoli, l'esilio a Torino e poi a Firenze con il trasferimento della capitale in quest'ultima città. A Napoli, sulla casa dove ella nacque, nel 1821, scrissero tra l'altro che fu "la poetessa delle sventure e della libertà d'Italia".
Con Evelina Cattermolo la sventura entrò anche nella sua casa e donna Laura se ne accorse quando vide il figlio Eugenio innamorarsi follemente della frivola ragazza che fin d'allora non prometteva nulla di buono. Laura Mancini era soprattutto una donna di casa, era una massaia (oggi questo termine oltre a cadere in disuso, è perfino degradante per una donna agli occhi dei cor...ifei del modernismo ad oltranza). 
La famiglia Mancini si oppose fermamente al fidanzamento ma invano. Per il forte dispiacere, donna Laura, già minata nel fisico, si spense a Fiesole il 17 luglio 1869, in tempo per non vedere la rovina del figlio.
Eugenio Mancini partecipò alla presa di Roma e, dopo il suo ritorno a Firenze, il 5 marzo 1871 sposò Evelina Cattermola, la futura «Contessa Lara».

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Dopo le nozze, i coniugi si stabilirono a Napoli dove era stato trasferito il marito, allora tenente dei bersaglieri, e dopo qualche anno, con la promozione del Mancini a capitano, la coppia si trasferì a Milano e qui cominciarono i guai.
Come fanno tutte le donne che, nel tentativo di giustificare il loro non irreprensibile comportamento, assumono il ruolo di vittima, anche la Evelina accusava il marito di venire meno ai suoi doveri coniugali e di preferire a lei il tavolo da gioco e le ballerine dei «cafè chantant». La verità era invece che la donna aveva non uno ma un'infinità di spasimanti e per averli, l'incoraggiamento da parte sua c'era e come...
La scelta cadde su un impiegato del Banco di Napoli, filiale di Milano, tale Giuseppe Bennati di Baylon, amico «carissimo» del marito. Una lettera anonima avvertì il marito della relazione ma l'amico negò ogni cosa.
I due si vedevano quasi ogni giorno in una camera fittata a orario, situata in Via dell'Unione a poco distanza della casa dei Mancini. Gli incontri avvenivano nel pomeriggio, mentre il capitano faceva la siesta. In caso di allarme, ed era quando il marito si svegliava, la cameriera di casa Mancini aveva il compito di avvertire subito i due e il segnale per farsi aprire era quello di battere tre colpi alla porta.
La cameriera Giuseppina Dones, o perché era segretamente innamorata del padrone, o perché disgustata dal comportamento della padrona, un brutto giorno, il 22 maggio 1875, non solo sbottò ma aggiunse subito senza alcuna reticenza, l'indirizzo e il segnale convenuto.
Il capitano Mancini per prima cosa corse a prendere la rivoltella ma non trovandola al su posto, inerme si precipitò in Via dell'Unione. Dopo i convenuti tre colpi alla porta e questa venne aperta, comparve sull'uscio Giuseppe Bennati che gridò: - Lina subito il revolver!!! E più veloce del fulmine la donna fornì l'arma al Bennati che, a sua volta , la puntò contro il Mancini. Era proprio la rivoltella che quest'ultimo non aveva trovata a casa: la moglie gliel'aveva sottratta per difendere sé stessa e ...l'altro in caso di necessità. Lì per lì non accadde nulla, anche perché le grida dei tre avevano chiamato molta gente e perfino due provvidenziali carabinieri di passaggio. Nell'allontanarsi però il Mancini, rivolta al Bennati, esclamò furente: - Ci rivedremo! - Era la sfida a battersi in duello.
Lo scontro alla pistola avvenne il 27 maggio nei pressi di Bollate alla periferia di Milano. Il Bennati, di fronte all'amico tradito, non alzò l'arma benché invitato dai padrini e dallo stesso Mancini prima di tirare il grilletto. Senza sparare si abbatté al suolo, colpito al fegato. Morì il 7 giugno.
Il giorno del funerale la cameriera, vinta dal rimorso, ingerì dell'acido solforico ('o spirit' 'e sale) e se non morì rimase gravemente ustionata. La tragedia non era ancora finita: la madre del Bennati per il dolore uscì di senno. Successivamente, Il Mancini, imputato di omicidio, in duello, fu processato e ...assolto.
I coniugi Mancini si erano separati nello stesso giorno del fattaccio di Via dell'Unione. Il 1° giugno, Evelina era partita per Firenze, impegnandosi a non usare più il nome del marito e di tenere una condotta onorata, con l'impegno da parte del marito di corrisponderle un assegno mensile di cento lire (a quei tempi il comandante delle guardie municipali di Torre del Greco ne percepiva cinquanta). Tornò precipitosamente a Milano, appena seppe della morte del Bennati. Si recise i capelli e andò a depositarli con delle ghirlande di fiori sulla tomba dell'amato dove, per diversi giorni, si recò a pregare. Ritornata a Firenze, si vestì a lutto stretto e per qualche tempo firmò i suoi scritti con lo pseudonimo «Lina di Baylon» e questo non per rendere omaggio...a San Pasquale ma bensì all'amato bene defunto. Perciò, per alleviare il dolore e la tristezza, si era legata ad un giovane abbastanza allegro che si divertiva ad arruffarle i capelli che erano ricresciuti, a imbrogliare le carte sullo scrittoio, a versarle il profumo sui cuscini ecc. Liberatasi da questa specie di terremoto fu la volta di un giornalista milanese e poi di un medico. Indi cambiò lo pseudonimo in «Contessa Lara».
Sempre vestita a lutto stretto (il nero le si addiceva: era bionda), si trasferì a Roma e fece la comparsa nella redazione del «Fieramosca» dove incontrò il poeta catanese Mario Rapisardi col quale non tardò a legarsi con «affettuosa amicizia»; anche perché questi raddrizzava parecchi versi alle sue liriche. Il Rapisardi dal canto suo, nemmeno stava bene con le bozze frontali: la moglie Giselda Foianesi era scappata di casa e se la intendeva con Giovanni Verga. Scoperta la tresca, Rapisaldi se ne andò a Catania e avrebbe voluto che Evelina lo raggiungesse, ma questa, già di nuovo nelle sue faccende affaccendata, rifiutò l'invito. Nella redazione del «Nabab» conobbe Carducci e D'Annunzio il quale le dedicò una poesia molto licenziosa: Sta Lady Phoebe Cynicythere / su ' l damascato letto ampio e profondo: / splende la nudità... Nella stessa redazione conobbe Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio, allora fidanzati, e tanti altri ancora tra i quali Peppino Turco autore della celebre canzone «Funiculì Funiculà», e Alfredo Cesàreo, il futuro insigne letterato siciliano che a quel tempo giovanissimo, venticinque anni, già stava traducendo le « Satire » di Petronio dalle quali, di recente, Fellini ha tratto il film «Satiricon». Col Cesàreo la «contessa» faceva per davvero. Il giovane aveva appena venticinque anni e lei ne aveva trentasei quando si conobbero. Avevano una loro casa e l'idillio durò dieci ani, ma il Cesàreo non abboccò a quella specie di amo...re. Non la sposò perché oltre agli amori trascorsi, la «contessa» di tanto in tanto e abbastanza di frequente ecc. ecc. Anzi verso il 1894, stanco e nauseato, chiese ed ottenne una cattedra all'Università di Palermo e li trovò alloro per la sua fronte e non protuberanze come se, al contrario fosse rimasto a Roma e avesse sposato la «contessa». Infatti, per le sue benemerenze nel campo della letteratura, nel 1924, fu nominato senatore.

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A Napoli viveva un pittore di nome Giuseppe Pierantoni. Aveva studiato all'Istituto di Belle arti e, come scrive Francesco Dell'Erba, "era un buon diavolo che imbrattava tele e si credeva perciò un artista". Menava una vita da "bohèmien" e non aveva né case né studio. Se la faceva per Toledo e la sera tardi andava a dormire da sua sorella. La sua attività di pittore la svolgeva un po' dovunque, ospite negli studi di amici. Mangiava quando poteva e ciò non avveniva quotidianamente. Conservava i mozziconi delle sigarette e quando stava in bolletta, il che avveniva spesso, se faceva 'e spenielle. Era un grande appassionato della poesia e a inculcare in lui questa passione era stato un suo amico, Domenico Milelli, un talento fenomenale che, a Roma nel 1894, per una speculazione edilizia aveva scritto un volume in versi con lo pseudonimo «Conte di Lara», su invito dello stesso editore Angelo Sommaruga, lo stesso della «Contessa Lara». Lo scopo era quello di far credere ai lettori che a scrivere i versi fosse stato il marito della Cattermole, Eugenio Mancini. Il Pierantoni, nel leggere i versi della Cattermol, s'era innamorato di costei a ...distanza e spesso declamava con enfasi l'ultima terzina di un sonetto che la poetessa dedicò a Mario Rapisardi nei tempi felici: Era di maggio un dì, sull'imbrunire / Ei mi gettò una rosa entro 'l balcone / Io la raccolsi e mi sentii morire. Stanco di fare la fame, si presentò ad un concorso per disegnatore nelle ferrovie. Disgraziatamente... vinse  il concorso: fu destinato a Roma e questo fu la causa della sua rovina. Appena giunto a Roma si mise in cerca della «contessa Lara». E la trovò facilmente grazie all'interessamento del conte Angelo de Gubernàtis, direttore della «Vita Italiana», che mandò, diritto diritto, il Pierantoni dalla «contessa», la quale cercava proprio qualcuno che, con dei disegni, illustrasse i suoi articoli di moda che lei scriveva per la rivista. L'incontro avvenne in casa della scrittrice e, come era da prevedersi, il pittore le piacque all'istante. Dopo alcuni giorni da che era iniziata la collaborazione, per «incoraggiare» il timido giovane, la «contessa» gli propose di cenare da lei invece che in trattoria come egli abitualmente faceva. Oltre alla cena - gli disse - aveva anche la «compagnia» di una bella signora... E così ebbe inizio la storia o meglio l'epilogo della tragedia.
 L'atmosfera non era sempre serena poiché la «contessa» faceva spesso scenate (finte) di gelosia col proposito di togliere dalla mente del Pierantoni ogni sospetto sulle di lei abituali e frequenti scappatelle. Una volta però il pittore ebbe la prova da una lettera intercettata che un tale Pietro Sirletti le aveva inviata, per chiederle il pagamento dell'affitto di una camera in via Goito, dove lei si vedeva con un certo signor Andal. Questa volta una violentissima scenata di gelosia la fece il, Pierantoni, e la donna si buscò parecchi schiaffi. Decisero, perciò, di separarsi, ma dopo pochi giorni la pace era fatta: la maliarda riuscì a convincere l'uomo che si era trattato di un appendice ad una vecchia relazione ormai sepolta per sempre. 
Di tanto in tanto, la «contessa» tornava ad insistere su una strana proposta: chiedeva di essere lasciata libera per qualche avventura di passaggio così, al ritorno, sarebbe stato più... ardentemente innamorata di lui. E così la squallida relazione si trascinava tra litigi, propositi di separazione e riappacificazioni.
Nell'agosto del 1896, mentre il Pierantoni si preparava ad un concorso per un posto di insegnante di disegni, Evelina ne approfittò per recarsi... sola a trascorrere un periodo di riposo a Portofino, lasciandogli il compito di accudire gli animali che vivevano in casa: un levriere, un pappagallo, un coniglio, una gazza, alcuni canarini ecc....
In treno «la contessa» incontrò Ferruccio Bottini, figlio di una sua amica, un giovanissimo ufficialetto di marina che si recava a La Spezia, e con questi, inutile dirlo, Evelina trascorse una parte del suo periodo di riposo, fino a quando Ferruccio, imbarcato sulla R. N. Morosini, non dovette partire per l'isole di Creta. E dato che il periodo trascorso non era stato sufficiente al ... riposo, Evelina pensò bene di prorogarlo con la collaborazione di Ezio, ... fratello minore di Ferruccio, tenente di fanteria ( peccato che allora non c'era pure l'areonautica ).
La «contessa» tornò a Roma completamente mutata e per niente... più ardentemente innamorata. Il Pierantoni non tardò a capire che l'amica gli nascondeva chissà quale altra magagna. Trascorso poco più di un mese tra scenate violentissime e propositi di separazione, i due convennero di vedersi per un ultimo colloquio (avviene sempre così, quando non si vuol farla finita per davvero). Si ritrovarono ancora una volta in casa della «contessa» la sera del 30 novembre. La donna non tardò a confessare l'avventura avuta con Ferruccio Bottini; poi con la sua innata malvagità, per ingelosire maggiormente l'uomo, finse di nascondergli una lettera. Il Pierantoni gliela strappò di mano e lesse. La lettera non era di Ferruccio ma del fratello Ezio. Le effusioni in essa contenute e specialmente quelle al termine della missiva non lasciavano alcun dubbio: «la contessa» era stata l'amante di due fratelli... Fu allora che il Pierantoni, vinto più dalla nausea che dalla gelosia, afferrò una piccola rivoltella dal comodino (un dono di Ferruccio) e fece fuoco. La donna colpita all'addome, si accasciò sul letto, sospirando: - Solo chi ama fa così...
Il giorno dopo fu operata, ma non si salvò per il tardivo intervento. Morì nella tarda serata, dopo di aver riferito al delegato della Pubblica Sicurezza che il Pierantoni voleva vivere alle sue spalle e che le aveva sparato non per gelosia, ma perché voleva del denaro. Ad una sua collega scrittrice disse invece che perdonava al suo uccisore. Due affermazioni non veritiere: la prima serviva per aggravare la condanna al Pierantoni, la seconda per far apparire all'opinione pubblica un sentimento cristiano e una nobiltà d'animo che in lei non c'erano.

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Al processo, iniziatosi davanti alla Corte d'Assise di Roma il 3 novembre 1897, il Pierantoni fu difeso dall'on. Salvatore Balzilai, deputato repubblicano. A sostegno della difesa deposero due poeti napoletani, Ferdinando Russo e Mario Giobbe, i quali conoscevano bene il Pierantoni e conoscevano benissimo «la contessa», per aver questa collaborato alla rivista «La Tavola Rotonda», settimanale letterario fondato nel 1891 da Gaetano Miranda per l'editore Ferdinando Bideri.
Scrive Giuseppe Fonterossi: Il difensore tracciò un ritratto della «contessa Lara», quale appariva dalle sue liriche e quale egli stesso l'avva conosciuta: una sensuale priva di qualsiasi freno morale.  E ancora, scrive Giovanni Terranova: Mentre persone attendibili, testimoniavano a favore dell'imputato: servette ciarliere e portiere pettegole lo accusavano di essere uno sfruttatore e un volgare assassino.
Alle ultime parole dell'avvocato Barzilai, il pubblico che assiepava l'aula, proruppe in un lungo e fragoroso e insistente applauso, tanto che il presidente si vide costretto a far sgomberare in attesa del verdetto.
All'imputato fu riconosciuto l'ingiusta provocazione e in forza di ciò la Corte condannò il Pierantoni a undici "cucozze" e dieci "cucuzzelle", cioè undici anni e dieci mesi.
Scontata la pena, il Pierantoni visse a Napoli, sempre solo e sempre perseguitato dalla miseria. Morì di tisi verso il 1925, al Vomero.

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Chissà nell'originale televisivo, il pittore come sarà...«pittato». Certamente sarà «tinteggiato», cioè presentato, come il  meridionale magnaccia, mentre la «contessa» sarà la vittima della «società» e l'antesignana della... dignità della donna.
Se le donne dei moderni femministi, o femminelisti, sentono la dignità come la sentiva la «contessa Lara»... 'mbeeeh, in questo caso come non detto.