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Tratto dal n°11
de LA TORRE -
20 - 07 - 1967
 
 

 

OBIETTIVO SULLA CITTA'
 
ESTATE DEL 1926.


Il sole è a picco sulla piazza di Santa Croce. La bottega di tessuti di don Vittorio Di Donna è con le saracinesche abbassate. Il chiosco dell’acquaiolo è anch’esso chiuso. Le ombre sono abbastanza corte, segno evidente che siamo nelle prime ore di un lungo e afoso pomeriggio: è dint’ ‘a calandrella.
Sullo sfondo la tortuosa Via Diego Colamarino si apre tra due ali di palazzi costruiti sulla lava, ancora calda della «immane» eruzione del 1794, poi sgretolati dai terremoti del 1861, e quindi restaurati e rifatti.
Il tranvai della linea 55 (Napoli, Portici, Resina, Torre del Greco – prezzo del biglietto per Napoli lire 1,40 e in prima classe di velluto rosso, lire 1,50), abborda la curva per «infilarsi» nella Via Salvator Noto. Appena imboccata la strada si fermerà, e il conduttore staccata la manovella entrerà nella bottega di don Michele Borrelli, l’ugliararo sott’u campanaro (olio finissimo di Bitonto a 5 lire il litro e vini «Solopaca » e «Vesuvio» a lire 2). Dopo il «bicchierotto» il tram riprenderà la sua corsa.
Tutto sembra che dorma ma non i ragazzi…ed eccoli aggrappati ai predellini  e ai respingenti del tram. Il fattorino non li caccia via per non sentirli urlare:

- Cundettòoo, quanno 'o tram piglia 'e liscio!!!...

Ed eccolo lì anche il vecchio campanile. La lava di fuoco del 1794 lo amputò degli «arti inferiori» e ora sembra reggersi sui moncherini. Lui che un tempo dominava con la sua altezza e con la sua turrita bellezza, ora è dominato da tutti gli edifici che lo circondano come se volessero abbracciarlo perché gli vogliono bene e lo rispettano. Chi, invece, non gli vuol bene e l’offende addirittura e chi lo disegna in modo così orrendo da farlo apparire comme a ‘na cascetta ‘e pulizzascarpe.
Ma per fortuna, un illustre figlio di Torre gli vuole bene per davvero, anzi lo ama, com’egli dice …Eccolo venire verso di noi, è Giovanni Mazza. Ascoltiamolo:

Non perché sette orrende volte scese
L'ardente a' piedi tuoi de 'l monte,
- e tu mirasti con non vile fronte
il patrio lutto, incolume, e le offese -

né perché quando un nòvo a l'orizzonte
di libertà soave sole ascese,
si come un alleluia il tuo s'intese
grido vendicatore de le lunghe onte -

IO T'AMO, O CAMPANIL DE 'L MIO PAESE
ma perché un giorno poi che gli anni
vanamente un alloro e un'anima cercai,

tu non obliso, tu cortese
al fine del mio sogno annunzierai
co 'l mesto accento che par voce umana.

Benché «l’ardente flutto», in realtà, ai piedi del campanile scese una sola volta, ciò non toglie bellezza al sonetto, specialmente nel finale dove accenna all’estremo, mesto saluto dato dalla campana grande, quella che «vide» l’immenso mare di fuoco distruggere la città, e che saluta i torresi defunti con voce umana.